Sez. A
1 Classificato
Vieni a cercarmi dentro una fessura
Io esisto sempre in una fenditura,
nella fessura aperta lungo il muro
-crepa da cui si scorgono orizzonti.
Respiro nello iato, dentro la spaccatura,
in uno strappo, nello spioncino aperto
-ancora incuriosito di confini.
Vivo nel taglio obliquo di uno sguardo,
nell’apertura avida di varchi,
nel foro, nel pertugio, nell’occhiello.
Mi trovi dentro l’incavo del collo
in cerca di profumi o di promesse
Nell’interstizio arioso tra incisivi,
nello spiraglio celibe di mura.
Sono nell’intervallo muto tra due verbi,
ascosa tra i segreti delle toppe,
sospesa a serrature d’altri vani
-forse a spiarvi il gesto dell’attesa
o a rovistarvi le opportunità.
Invece tu mi cerchi lungo i muri,
nelle certezze solide di rocce,
tra calcestruzzi e intonaci sicuri
-come s’io avessi un’anima di calce.
Frughi nell’emisfero levo del cervello,
nell’evidenza stabile del mondo,
nei giorni fenomenici di sole
-di pioggia o neve o fulmini precisi.
Mi pensi nei poliedri con la base
supini monoliti sul ripiano
Dentro equazioni certe di sé stesse,
nei quanti che s’allineano costanti
-io che ricordo un atomo impazzito.
Esplori nella fame e nell’arsura,
dentro la biologia di cellule e neuroni,
nelle cloache chiuse sull’asfalto
o dietro l’equilatero imparziale.
Io, viceversa, oscillo nella brezza,
con l’occhio infatuato dei prodigi
e il cuore incapricciato d’infinito.
Casadei Monia
2 Classificato
Ho bussato alla tua porta
Ho bussato sbandato alla tua porta
come un’onda nella rada
scampata alla bufera.
Nel cesto vuoto il profumo degli ulivi
le lettere non scritte, le radici,
il sogno disperato di un ritorno
il bacio di mia madre, il saluto degli amici.
Ho bussato con coraggio alla tua porta
chiedendo in prestito una mano
senza domandare altro.
Mi sono volto indietro
e ho scorto la mia ombra
salpare incerta, contro il vento.
Ho bussato invano alla tua porta
chiusa dietro a un muro di silenzi
ma non te ne farò una colpa.
Mi chiedo invece dove sia finito il sole
se mi rimanga il fango per dimora.
Oggi io abito il mio nome
e un sorriso a denti stretti è il mio portone.
Domani radunerò i miei stracci
e andrò bussare al mare.
Per riprendere il mio cuore
ancora vivo dopo il temporale.
Marelli Dario
3 Classificato
Il mio nome è Giovanni (dedicata)
Ed ora che sono polvere ed ombra
la ricordo quella voragine profonda, l’attimo che precipitava
l’inerme scivolare lungo il crepaccio
fino a planare in un cielo capovolto, in una calma di vento
il cuore appoggiato ad un fiore di cristallo
e li ricordo i vetri rotti, gli occhi vuoti, la pena degli indifesi
l’attimo che segue al detto, il gorgo nella gola
la lentezza del tempo che gridava
il silenzio della parola monca
e ricordo che mi chiamavano Giovanni
che la morte mi cercava
ansimava ogni notte nel mio letto
mi accoglieva nel suo amplesso profondo
e mi dormiva accanto senza esserci
e le ricordo quelle belve impigliate sotto pelle
le pause come richiami, le parole sazie di stupore
gli occhi pesti di sogni ormai dimenticati
ed io che trattenevo il fiato rinunciando all’amore, al futuro, alle certezze
e poi ricordo solo il mare, il profumo di zagare e limoni
il grido di Francesca aggrappato ad un altro nome
le lacrime, la sapienza del cuore
e tutto che taceva
in quel cielo azzurro dove finiva l’approdo
restava solo il silenzio dei vivi
il soffio di una luce guasta
ed un dolore assurdamente bianco
che ci sorrideva
a Capaci in quel giorno di maggio.
Monari Tiziana
Premio della Giuria
Il fazzoletto di cotone bianco
Verrò a trovarti anche domani,
suonerò il campanello
e mi aprirà “la Valentina”.
Nel suo italiano incerto
come sempre mi dirà:
“Prego entri, è seduta là di fuori,
sullo sdraio, in giardino!”
Mi avvicinerò piano al tuo fianco,
ti appoggerò la mano
sui capelli bianchi
e, per non spaventarti, sussurrerò
un breve: “Ciao!” al tuo silenzio.
Il solito velo nello sguardo
mi negherà ai tuoi occhi,
in quell’equilibrio incerto su un precipizio
di mancanze e pensieri vuoti.
Poi, con lo sguardo perso,
nell’ombreggiare sul viso consumato,
ancora una volta
mi chiederai: “Chi sei?”
“Sono tuo figlio mamma, non ricordi?”
“Ah! Si, si.., tuo figlio!!”
E abbasserai gli occhi alle mani,
al fazzoletto di cotone bianco
arrotolato tra le dita
e non ti verrà a conforto il ricordare
di avermi amato tanto.
Ragazzi Roberto
Sez. B
Unico Classificato
Clochard
Lacrime invernali
in ruggine trasformano i sogni.
Occhi che si annebbiano e poi scappano
cercando la liberazione soffrendo in silenzio.
Il cuore si ferma un po’
come se all’improvviso avesse perso il mondo
ora senti la tua innocenza contro un cielo travagliato.
Tutta la verità è vuota aspettando a bordo strada
hai la sensazione che dovresti semplicemente andare a casa
ma hai trascorso la vita a capire dove si trova
e una notte non vide mai l’alba.
Tommasi Federico